Paolo Rodaro, spirito libero e contadino tra le colline di Cividale del Friuli (Patrimonio Mondiale UNESCO), oltre a coltivare la vite, traccia nuovi sentieri enologici, uscendo con i suoi vini solo quando la freschezza incontra la promessa di un’evoluzione complessa.
Custode del tempo e del terroir, vinificando esclusivamente le uve della sua tenuta, infonde in ogni bottiglia la sua incessante ricerca della perfezione alimentata da una curiosità inesauribile e da una severa autocritica. Un’ode all’evoluzione, un’esperienza sensoriale nutrita dall’amore per la natura della moglie Lara, custode dell’energia e della filosofia Rodaro.
Le prime testimonianze dell’attività agricola della famiglia Rodaro risalgono al 1846, durante il periodo del dominio dell’Impero Austro-Ungarico in Friuli Venezia Giulia, anche se la loro storia contadina è certamente più antica. Indipendenti proprietari terrieri, i Rodaro hanno sempre coltivato con passione seminativi e vigneti, diventando un punto di riferimento per la comunità di Cividale del Friuli. Paolo Rodaro, forte dell’esperienza dello zio Edo e del senso degli affari del padre Luigi, persegue un progetto di famiglia basato sulla ricerca e sulla sperimentazione, che pone la cantina tra le più innovative del territorio. L’antica osteria di famiglia, oggi trasformata in una cantina all’avanguardia, è alimentata ad energia solare, a testimonianza dell’impegno costante di Paolo verso la qualità e la sostenibilità: un connubio armonioso tra tradizione e futuro.
Immergiti in un paesaggio unico, dove lo sguardo si perde tra le ampie distese della pianura friulana e le dolci curve dei Colli Orientali. In cima a un colle nella località Spessa, accarezzata dal sommesso frucio del Bosco Romagno, si erge Villa Romano-Rodaro, dimora della famiglia. Circondata da sessantotto ettari di vigneti di proprietà, la seicentesca villa, con la sua nobile storia, è un tesoro custodito dal 2002. All’interno, tra le antiche mura del corpo centrale e delle ali laterali, il piano inferiore svela un tesoro, i vividi dipinti di un tempo lontano, giunti a noi in una sorprendente armonia di colori che narrano storie tra sacro e profano, frutto della vibrante immaginazione del pittore Jàcun Pitôr, un’eredità che continua a incantare.
All’inizio del Novecento, il pittore naïf Giacomo Meneghini (1851-1935), altrimenti noto come Jàcun Pitôr in Friuli e Jakob Malar in Slovenia, ha lasciato un’impronta indelebile adornando interamente la stanza che precede la piccola barricaia di Villa Romano-Rodaro, all’epoca appartenente al Conte Antonio Romano (1904-1975). Autodidatta poliglotta, come rivelato dal nipote Giuseppe Cudiz, Jàcun Pitôr ha radici artistiche nel mondo del teatro di figura, prima come burattinaio itinerante e poi come artista di strada tra Trieste e Capodistria. Il suo passaggio alla pittura, impregnata di un affetto per l’infanzia e di un umorismo popolare, ha rafforzato il suo legame con l’immaginario. Pittore schietto e di animo gentile, Jàcun Pitôr conduceva una vita bohémien, offrendo i suoi dipinti in cambio di vitto e alloggio. Durante il suo soggiorno nella villa nel 1911, ha trasformato una stanza del piano terra con il suo inconfondibile stile, ispirato dal sacro e dal profano, creando un ambiente che, grazie alla soffusa luce, conserva intatti i colori originali. Oggi, questa stanza unica, insieme alla barricaia, è aperta ai visitatori su prenotazione.